Fulvio Di Blasi

Fulvio Di Blasi
God and the Natural Law. A Rereading of Thomas Aquinas

Description

It seems that to have credibility in the post-Kantian and analytical world, contemporary natural-law theory wants to show its independence both from God and from human nature. But can there be a natural-law theory without the "natural" – not grounded on the facts of nature – and without "law" – not in need of a Legislator? In God and the Natural Law, Fulvio Di Blasi, starts with an original analysis of the current debate in ethics, jurisprudence, and politics in order to give the background for a sound understanding of the concept of natural law, which sets the stage for the heart of the book: a recovery of the authentic meaning of the two main concepts of classical natural law theory as synthesized by Thomas Aquinas – the will of God and the order of nature.

The wide revival of practical philosophy and objective-values ethics of the past decades has involved a strong rediscovery of classical natural law. This rediscovery is marked by two main traits: the emphasis on the autonomy of practical reason (as a reaction to the modern voluntarism centered on the external will of the legislator) and the emphasis on the originality of practical reason (as a reaction to the idea of a rational deduction of moral truths from the facts of nature). Without denying an autonomous character of ethics and the need for a strong criticism to moral rationalism, Di Blasi claims that Aquinas’s thought remains unintelligible if we remove from it either God or the metaphysical understanding of nature.

"[God and the Natural Law is] direct and immediate, because [today] it seems ever more difficult for our mindset to think through to the depths, without historical and conceptual filters, the simple and radical idea that natural law is nothing other than the encounter between man and God. Natural law is the way in which we discover ourselves as part of the project of creation." – Salvatore Amato, Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto.

Contents


Foreword by Ralph McInerny
Foreword to the Italian Edition by Mario A. Cattaneo
Translator’s Note
Preface to the English Edition
Acknowledgements

Introduction

1. Natural Law and Analytic Philosophy
2. John Finnis
3. Finnis and Hart
4. The Neoclassical Theory of Natural Law
5. Natural Law, Natural Rights, and Contemporary Liberalism
6. Henry Veatch: Objectivity, Nature and Human Rights
7. From Nature to God

Chapter One: The Neoclassical Critique of Conventional Natural Law Theory

1. Introduction
2. Suárez’s Mediation Between Nominalism and Antinominalism
3. Manualistic Morality
4. The Neoclassical Image of the Conventional Theory
5. The Transcendental Aspect of the Neoclassical Critique
6. The Antinominalism of Neoclassical Theory

Chapter Two: The Presupposition of Lex Naturalis: Man as Capax Dei

1. Introduction
2. The Ethical Relevance of God’s Will
2.1. How We Know God’s Will
2.2. Will and Law
3. The Natural Knowledge of God
3.1. The Non-Self-Evidence of God’s Existence
3.2. The Object of Human Knowledge
3.3. Judgment and Reasoning
3.4. God in Reality
3.5. Via Negativa and Via Positiva
3.6. The Idea of God: Premise and Object of the Proofs
3.7. The Insufficiency of Being
3.7.1. The Way of Motion
3.7.2. The Way of Efficient Causality
3.7.3. The Way of Contingency
3.7.4. The Doctrine of Participation
3.7.5. The Fourth Way
3.7.6. The Way of Finality
3.8. The Metaphysical Experience of Being
4. The Inclination To God
4.1. God as a Moral Problem for Man
4.2. The Meaning of Moral experience
4.3. The Formal Object of Ethics
4.4. “From Natural Love Man Loves God Before Himself and with a Greater Love”

Chapter Three: “Lex” and “Lex Naturalis”

1. Introduction
2. Providence and the Eternal Law
3. Freedom and Natural Law
3.1. The Necessity of Law
3.2. The Concept of Law
3.2.1. Jacques Maritain: Natural Law and Inclinations
4. Natural Law and Divine Law
4.1. Law as an Ordering to the Ultimate End
4.2. Correspondence with the Natural Order
4.3. Intention of the Ultimate End and the Order of Reason
4.4. Proper End, Natural Measure, and Hierarchy
4.5. The Morality and Immorality of Acts
4.6. Fornication and Marriage
5. A Response to Abbà

Conclusion

Bibliography

Index

Sunday, October 5, 2008

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19 comments:

Phronesis Editore said...

Review by Joseph W. Koterski,
Theological Studies 01-JUN-07

Fulvio Di Blasi here meets the best arguments of "the new natural law" theorists and criticizes their theoretical foundations. With sophistication and accuracy he recounts the main arguments used by...

Phronesis Editore said...

Recensione di Salvatore Amato, Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto

Spesso, Tommaso d’Aquino va “cercato” a margine. A margine dell’imponente impalcatura storiografica e concettuale che lo circonda e 1o incasella entro alcune linee obbligate della cultura occidentale. Non di rado, ci accorgiamo che riusciamo a comprenderlo con maggior facilità e che siamo indotti a rileggerlo con maggior intensità attraverso le pagine di un cristiano inquieto come Gilbert K. Chesterton o attraverso le righe di un’anima tormentata come Maria Zambrano. Sembra ricordarci proprio questo il percorso teoretico scelto da Di Blasi nel proporre una lettura “a ritroso” che, muovendo dalle più recenti interpretazioni neotomistiche, giunge all’analisi diretta e immediata, “tramite lo stesso S. Tommaso”, del concetto di legge naturale.

Diretta ed immediata: per l’accuratezza con cui sono ricostruiti i diversi aspetti del pensiero di Tommaso attraverso un’analisi che ne mette in luce tanto gli elementi essenziali quanto le strutture problematiche. Diretta ed immediata: perché appare sempre più difficile, per la nostra mentalità, riuscire a pensare fino in fondo, senza filtri storici e concettuali, l’idea, semplice e radicale, che la legge naturale non sia altro che l’incontro dell’uomo con Dio. La legge naturale è il modo in cui ci scopriamo parte del progetto della creazione. Partim habere, essere partecipi del divino può assumere sia un senso attivo (essere artefici di questo disegno) sia un senso passivo (esserne solo un elemento). A partire dalla Seconda scolastica, queste prospettive sono apparse sempre più inconciliabili e nel conflitto tra nominalismo e antinominalismo possiamo intravedere le cesure sempre più nette con cui siamo abituati a contrapporre volontà e ragione, libertà e ordine.

I delicati equilibri tra “insufficienza dell’essere” e “metafisica dell’essere”, delineati nel secondo capitolo, mostrano invece come sia proprio la pienezza dell’adesione a Dio a presupporre una compiuta realizzazione dell’uomo. Non vi è nulla di più lontano dall’insegnamento di Tommaso della contrapposizione tra autonomia e eteronomia dell’etica. La volontà di Dio impressa nell’ordine naturale delle cose; l’essenza del mondo sta nella capacità di cogliere l’orizzonte entro cui tutto rientra nei disegni divini: è un aspetto di Dio, è l’aspetto di Dio. Potrebbe apparire, per certi versi, riduttivo affermare che Tommaso sia un teorico della “legge naturale”. Il mondo ha un senso, Il mondo ha un principio: questo teorizza Tommaso e su questo analizza i legami e i vincoli che si pongono all’uomo. “Tale legge è, anzitutto, l’atto della Divina Sapienza che crea l’uomo ordinandolo (inclinandolo) a conoscere e ad amare Dio stesso al di sopra di tutto. Essa si presenta, quindi, nell’uomo come l’atto o il giudizio della ragion pratica (sotto forma di precetto) che, nelle diverse circostanze, gli indica do che è bene...” (p. 240).

II tema centrale del libro ê costituito da questo complesso sforzo di ricostruire (storiograficamente, filologicamente, teoreticamente) i termini fondamentali di un pensiero in cui l’ontologia si fonda sulla teleologia, la metafisica sull’etica, l’amore sulla conoscenza. Proprio questo profondo legame tra elementi teoretici ed elementi etici, tra verità della conoscenza e articolazione dell’esistenza, è stato messo in discussione dall’attenzione sempre maggiore che la prospettiva analitica ha dedicato, in questi ultimi anni, all’epistemologia tomistica. I condizionamenti del “non cognitivismo” hanno finito per proporre una sorta di “legge naturale senza Dio” e di “legge naturale senza legge”. Abbiamo un’etica senza Dio laddove le costruzioni intellettuali tendono a chiudersi nella loro autosufficienza logica. Abbiamo una “legge naturale senza legge” quando tutto sembra potersi ridurre all’intima coerenza delle scelte. Nel descrivere i complessi versanti in cui si alimentano questi paradossi, Di Blasi intende anche riflettere sui caratteri e i limiti della nostra cultura in cui la netta separazione tra ragion pratica e ragion teoretica tende o ad accentuare l’autosufficienza della ragione o a contrassegnare la trascendenza in termini emotivistici, come pura intenzionalità dell’agente.

È una lettura critica che non vuole cercare quanto “tomismo” vi sia in Maritain, Veatch, Haldane, Finnis, Grisez, MacIntyre, McInerny… ma quanta rilevante sia una corretta lettura tomistica per affrontare alcuni dei problemi che l’esperienza giuridica pone oggi alla riflessione filosofica. Penso alle osservazioni dedicate al rapporto tra il “punto di vista interno” di Hart e i “valori fondamentali” di Finnis, al rapporto tra l’analisi dei “beni primari” in Rawls e la “forza categorica” di ogni teoria della giustizia in Dworkin, al problema dei diritti umani e della democrazia. Forse, sotto questo punto di vista, meraviglia che non trovino spazio Fuller o Polin o Villey.

La “conta” di chi c’è e di chi manca sarebbe, tuttavia, una maniera poco corretta di affrontare la lettura di un libro che non intende tracciare i percorsi del tomismo, ma riflettere sull’indissolubile legame che esiste tra la volontà di Dio e l’identità umana. La legge naturale è la struttura dell’obbedienza a Dio. Un’obbedienza che non “dipende dalla paura della pena, ma dall’amore e dalla condivisione del fine...”. Che significa? Significa: cercare Ia verità. Non una verità qualunque, provvisoria, eventuale, ma quella verità che è “l’origine di ogni verità”: principium essendi omnibus. Solo questa verità è alla portata di tutti, ma è anche in tutto. È la “legge” della natura dell’uomo. “Est dispositio rerum in veritate sicut in esse”.

Phronesis Editore said...

Review by John Goyette, The Thomist 71/2007, pp. 497-500

Fulvio Di Blasi's God and the Natural Law is a penetrating inquiry into the theological foundation of Thomistic natural law. The book is written in response to a trend among contemporary natural-law theorists towards...

Phronesis Editore said...

The Claremont Institute - Books in Brief

http://www.claremont.org/publications/crb/id.1358/article_detail.asp

Originally published in Italian in 1999, God and the Natural Law is the impressive work of a young scholar, navigating through the swirling currents of modern debate over the meaning of natural law. President of the fledgling Thomas International (a planned Thomistic university) and co-director of the newly formed Ralph McInerny Center for Thomistic Studies, Fulvio Di Blasi presents a closer, far richer reading of Thomas Aquinas than is typical in these debates.

Di Blasi argues that many scholars have been unduly influenced by the fact-value distinction and other modern notions, and as a result misunderstand the role of God and nature in Aquinas's thought. The author maintains that Aquinas (and Suarez) did not think that natural law is completely external to man, based on the arbitrary will of God; nor that the natural law is completely internal to man, based on man's reason alone. Without a basis in nature, morality becomes merely a human product, and natural law ceases to be natural. Yet without seeing the natural order as a product of God's will (in accord with His reason), there is no sufficient obligation for man to obey the dictates of his natural ends, and the natural law ceases to be law. For Aquinas, the "natural law is nature revealing itself to human reason as willed by God."

—Matthew J. Peterson
The Claremont Institute

Phronesis Editore said...

Review by Vicente Bellver Capella. Anuario de Filosofia del Derecho - Nbr. XVIII, January 2001

Tomás de Aquino está considerado como uno de los grandes teóricos de la ley natural de todos los tiempos y su pensamiento, tanto metafísico como ético, goza hoy de una renovada popularidad, sobre todo por la atención que le han prestrado algunos pensadores contemporáneos de inspiración analítica. De hecho, en los últimos años se ha...

Phronesis Editore said...

Book REview by Jean Porter, The Journal of Religion, volume 87, part 1 (2007)

As its subtitle suggests, this book offers a rereading of Aquinas's doctrine of natural law, focusing on the interconnections between natural law and the order of nature, on the one hand, and the will of God as the author of nature, on the other...

Phronesis Editore said...

Enrico Colombo, Studi Cattolici

Il pregio di questa ricerca consiste net tentativo di confrontare le dottrine giusnaturalistiche di Tommaso d’Aquino con i risultati della riflessione giuridica contemporanea. Il presupposto assunto è la convinzione che sia possibile conciliare l’esito della filosofia giuridica analitica, in particolare il pensiero di J. M. Finnis, con i princìpi metafisici ed etici del tomismo.

L’autore individua nel concetto di essere e di volontà divini i princìpi metafisici, con cui interpretare l’ordine naturale. Questo si definisce perché è voluto da Dio e diviene principio etico prescrittivo, a cui l’uomo deve conformare Ia propria moralità. In questo senso, Tommaso è, senza dubbio, allievo conseguente dell’etica antica, con il fine filosofico di costruire una metafisica i cui concetti debbano, appunto, valere anche come un obbligo etico. È quindi sottolineato come il giusnaturalismo di Tommaso si radichi in un realismo ontologico: esso riflette un complesso gerarchico metafisico, sostanzialmente immutabile, voluto da Dio. Ciò rimanda alla eliminazione del dualismo tra formalità legale, cara al giusnaturalismo metafisico, e contenuto normativo, tra «essere» e «dover essere»: questa dicotomia è superata, con l’affermazione dell’immediata identità tra fondamento ontologico della legge e necessità di conformarsi volontariamente a essa. E così salvata anche la libertà etica del soggetto: nell’amore verso Dio, l’uomo accetta la legge naturale posta da Dio; questo atteggiamento consegue necessariamente dalla capacità teoretica dell’uomo di conoscere l’ordine metafisico dell’universo, la volontà divina e il loro legame e di farlo oggetto di realizzazione finalistica, sottratta all’arbitrio del soggettivismo individuale.

Phronesis Editore said...

Juan Francisco Franck, Sapientia

Las dos nociones clave para interpretar correctamente el concepto de ley natural son, según Fulvio Di Blasi, las de naturaleza y voluntad divina. Se destacan los intentos de algunos filósofos analíticos de interesarse por la solución metafísica de los problemas planteados por el mismo método y que a menudo en esa corriente filósofica son dejados de lado. En este sentido Santo Tomás es revalorado y la posibilidad de sintetizar “forma analítica” y “contenido tomista” se presenta fascinante (Haldane). La doctrina tomista de la ley natural es la más desarrollada, completa y rigurosa de la historia. Luego del descrédito en que se hallaba hasta muy recientemente (Dworkin), la nueva interpretación ofrecida por Finnis consiguió devolverle un puesto entre las modernas filosofías del derecho. Finnis debe parte de su inspiración al filósofo de Oxford Herbert Hart, quien llamó la atención sobre las motivaciones internas del obrar moral. Finnis le reprocha haber descuidado el principal motivo del obrar, que es el otorgamiento a la norma de un valor moral intrínseco.

La teoría neoclásica de la ley natural se presenta como una relectura de la doctrina tomista. Esta escuela, a la que pertenecen German Grissez y Joseph Boyle entre otros, está dominada por el problema epistemológico de la llamada falacia naturalista: de los hechos observados no se pueden derivar afirmaciones de valor. A pesar del intentar una fundación objetiva de la ética, la separación entre objetividad y naturaleza y el rechazo consecuente del fin último y de toda jerarquía de valores, coloca a esta teoría ante la necesidad de aceptar la arbitrariedad de toda elección moral. En el fondo yace la diversidad entre la concepción humiana y tomista de la razón práctica; para Hume la razón tiene un carácter instrumental, mientras que para Santo Tomás el bien no es extrínseco a la razón que lo busca. El deber y la responsabilidad no son justificados por la teoría neoclásica, en la medida en que, pradójicamente, rechaza los dos componentes esenciales de la teoría tomista de la ley natural, a saber su carácter de ley, promulgada por un legislador, y de natural, inscrita en la naturaleza humana. De esa manera cae dentro de la acusación de MacIntyre a la ética contemporánea de ser “emotivista”, es decir de basar sus juicios éticos en preferencias, intereses, actitudes, sentimientos, etc. Por otra parte en el MacIntyre de After virtue tampoco es superada esta valencia subjetiva del fin último (telos). La ausencia de una referencia al fundamento teológico (natural) de la ley moral coincide con las complicaciones que esta teoría presenta en su desarrollo.

Lo mismo sucede con las teorías liberales de los derechos humanos, para las cuales vale el principio de neutralidad y rige el carácter minimalista de la ley (Rawls). Se debe privilegiar la justicia por sobre el bien; la ley garantiza que nadie será lesionado en sus derechos. Dworkin señala la discontinuidad del razonamiento de algunos liberales que no dan las razones por las que se deba ser liberal.

Henry Veatch se destaca por haber criticado el intento de los neoclásicos de fundar la ética de la ley natural en algo distinto de los hechos de la naturaleza. Les reprocha el haber malentendido la distinción tomista entre razón práctica y razón teórica. Tanto las éticas deontológicas (centradas en la idea de deber moral: Kant, Donagan, Dworkin), como las de tipo telelógico o utilitarista (Frankena, etc.), deben recurrir al deseo subjetivo como motivación moral, enfrentándose a la dificultad de elevar, universalizándolo, el placer con el deber. Es por eso que Veatch ve con buenos ojos la vuelta a la doctrina de la ley natural de parte de Finnis y de Grisez, porque introduce la noción de “fines obligatorios”, esencial y objetivamente buenos. La dificultad de esta escuela neoclásica radica en el “giro trascendental” que realizan, es decir en el hecho ya aludido de situar el bien y los valores más allá del mundo natural. Para Veatch las leyes de la naturaleza son ellas mismas reglas del obrar; el hombre posee una natural inclinación al bien, que constituye su propio fin. La naturaleza social del hombre prescribe por tanto la necesidad de que la felicidad individual se alcance en el marco del bien común. El deber hacia uno mismo es la fuente de los derechos, ya que a quien tiene una obligación moral corresponden los medios de cumplir con ella. En este punto Veatch discurre de modo análogo a Santo Tomás, para quien la ley mira al fin y la justicia tiene como objeto el derecho. Lo que hace incompleto el pensamiento de Veatch es la falta de referencia al origen y al fin trascendentes del orden natural. Luego de Dostoievsky, Sartre y de siglos de ateísmo, resulta ingenuo creer que sin Dios pueda sostenerse la independencia de la naturaleza de un orden querido por Dios (pensar en las palabras de Grocio). El estudio profundo de la doctrina tomista sobre la ley natural muestra que naturaleza y voluntad de Dios son dos elementos inseparables, por más delicada que sea la cuestión. “La ética de la ley natural requiere para su misma supervivencia, por lo tanto, y por más delicado que esto sea en el plano filosófico, que el orden de la naturaleza sea elevado a un plano trascendente, es decir que de alguna manera sea querido por Dios. De este modo, puede ser tal vez utópico, pero ciertamente no extraño, que sólo es capaz de promover y respetar, profundamente y en los detalles, a sí mismo y a los otros, aquél que cree en Dios y ve la persona humana como algo de algún modo sagrado.” (pp. 50-51)

La doctrina de Francisco Suárez resulta particularmente interesante por el tentativo explícito de armonizar los dos aspectos centrales de la ley natural: la dependencia de la voluntad de Dios y la conexión intrínseca con la naturaleza. Su adversario inmediato es Vázquez, quien sostenía la total independencia de la bondad o maldad de los acto morales respecto de cualquier causa extrínseca, aun cuando sea la voluntad divina. La polémica antinominalista, comenzada en el siglo XIV por Gregorio de Rimini, sale claramente a la luz. Para esta reacción la ley natural tiene solamente un carácter indicativo, no preceptivo. En el intento de evitar la arbitrariedad y el voluntarismo de los nominalistas sus críticos dejaban sin efecto un elemento esencial a la ley, a saber su carácter normativo procedente de una voluntad, no humana, sino divina. Dios Legislador es fundamento de la obligatoriedad del precepto moral, reconocido por la razón humana en la naturaleza de las cosas. De lo contrario la naturaleza humana se hace ley para sí misma y pierde carácter de norma. La ley natural está en la razón práctica y de allí obtiene su carácter vinculante, ya que la razón reconoce que la obligación de obrar de una manera determinada está fundada en un precepto divino. No se trata sólo del problema de la creaturalidad de la naturaleza humana, sino del papel que cumple el conocimiento natural de Dios en el obrar moral. La naturaleza presenta a la razón el mandato de un superior. La diferencia con Ockham está en que para Suárez la voluntad divina se manifiesta también en las esencias y en las exigencias universales de la naturaleza humana, no sólo en la acción particular; para Ockham, en cambio, la naturaleza no tiene ninguna capacidad intrínseca de obligar de modo universal, sino que las esencias tienen una función sólo instrumental.

Los excesos formalistas y casuísticos de la manualística llevan a Grisez a criticar la versión, por él mismo llamada convencionalista, de la ley natural en varios puntos. Un aspecto central de la crítica señala la disociación de la naturaleza humana de la fuente del deber y del bien. La norma se encuentra fuera de la naturaleza, aun cuando proporciona carácter de obligatoriedad a los fines ínsitos en ella. En la doctrina convencionalista se dan la mano la falacia naturalista y un voluntarismo extrinsecista incapaz de fundar auténticamente el deber en el ser. La razón práctica tendría apenas una función instrumental pero las acciones particulares y el fin último quedarían últimamente disociados, toda finalidad natural debe ser proseguida o al menos no impedida, perdiendo de vista el ordenamiento del bien particular al bien total del hombre. La teoría convencionalista llama inmoral al acto humano que impide alcanzar su fin natural. Los neoclásicos rechazan esta posición sin lograr sin embargo superar sus dificultades. Toda acción humana se efectúa en base a valores y la acción mala es aquélla que lesiona uno de esos valores. Pero habría que preguntar qué valor sostiene la acción que se califica como mala, so pena de privarla del carácter de una acción humana y libre. Si se dice que es el placer, se eleva al placer a la categoría de valor y la pregunta se repite. El recurso a ciertos valores humanos fundamentales que estarían siempre guiando la acción y la consiguiente reducción del mal moral a un efecto colateral, no son suficientes para explicar la naturaleza propia del acto moral. Este modo de afrontar el problema manifiesta la orientación trascendentalista de la escuela neoclásica.

¿Es posible hablar de la ley natural sin hacer referencia a Dios? ¿Es posible una ética sin Dios? ¿Qué sentido tiene la palabra ley en la expresión ‘ley natural’ si no se concibe un legislador que no puede ser otro que Dios? Muchos intérpretes –Rhonheimer, Rodríguez Luño, De Finance, Hervada, Abbà- parecen considerar la referencia a Dios como un problema posterior a la ética filósofica, vinculado a una metafísica creacionista ciertamente presente en Santo Tomás pero no necesaria para desarrollar la ética, ya que el ateo no aceptaría ese dato como necesario para la vida moral. En todo caso la referencia a Dios refuerza o confirma lo que autónomamente la razón reconoce como deber o la razón práctica ordena mediante la virtud de la prudencia o la conciencia moral. En la moral sobrenatural, no filosófica, la voluntad de Dios es desde luego un concepto central, pero no para la ética filosófica, que es principalmente una ética de virtudes naturales. Finnis, junto con la escuela neoclásica, usa la expresión ‘ley natural’ como una concesión a los autores cuyo pensamiento pretende continuar, pero señala que bien podría hablarse de ‘derecho natural’ sin perder nada en cuanto al significado. Di Blasi se propone precisamente mostrar que la ética tomista pierde un elemento importante sin la referencia a Dios y que el concepto de ley natural no es cabalmente comprendido sin esta referencia, tanto desde un punto de vista metafísico como en la ética. El conocimiento natural de Dios es parte esencial de la ética tomista y el reconocimiento de la preceptividad de la naturaleza humana supone la aceptación de un legislador divino que sostiene esa misma obligatoriedad.

Como bien sostiene Di Blasi, y es el tema del segundo capítulo, el presupuesto de la ley natural, bien entendida en su conexión intrínseca con la voluntad y la racionalidad divinas, será la capacidad natural del hombre de conocer y amar a Dios. No sólo la definición tomista de ley natural -participatio legis aeternae in rationali creatura- indica esta necesidad, sino particularmente el hecho de que la ley natural tenga el poder absoluto de obligar. La voluntad de Dios se expresa entonces en el ser de las cosas, vale decir en su naturaleza, inclinaciones y aptitudes. Si bien nuestro conocimiento de la existencia de Dios no es inmediato, pertenece sin embargo al acervo del sentido común, entendido según A. Livi (1990). Al advertir la contingencia del ser finito, sus limitaciones, nos vemos obligados a reconocer la existencia de un ser infinito e ilimitado. Ésta es una vía más rápida para probar la existencia de Dios pero que a su vez está a la base de las vías que Santo Tomás desarrolla en la Suma Teológica. Aun cuando la inteligencia no puede pensar nada sin entenderlo de alguna manera como algo que es (ens), no llega a un conocimiento del ser en cuanto tal sino después de un largo camino. Es entonces cuando adquiere la convicción de que debe haber en el conjunto de lo real algo que sea el ser mismo y no que lo tenga, como ocurre con todos los seres contingentes. La noción de ser intensivo empleada por Fabro, distinta de la noción de existencia, es aprovechada en el sentido de que la noción del ser Absoluto está presente intencionalmente de algún modo en toda inteligencia finita. Dicho de otra manera, en el conocimiento natural está implícito el conocimiento de Dios (omnia cognoscentia cognoscunt implicite deum in quolibet cognito, De Ver. 22, 2, ad 1). Las pruebas de la existencia de Dios son una manera refleja de rehacer el camino que la inteligencia hace, diríamos “automáticamente”, cuando ejerce su operación natural, que es conocer. Pero no sólo en el conocimiento se da la presencia de una cierta noción de Dios al cognoscente, sino también en las operaciones de la voluntad, en la búsqueda de la felicidad, en la necesidad de justicia, en la experiencia del deber, etc. Se pueden desarrollar así otras tantas pruebas de que Dios está ya presente en el obrar espiritual del hombre de un modo natural, no sólo sobrenatural. En particular el análisis de los actos de la voluntad, muestra que, al estar inclinada al bien universal, que constituye su finalidad propia, el hombre ama naturalmente más a Dios que a sí mismo y que sólo en Dios encuentra su propio bien. El hecho de tener como fin el bien total, el Bien Absoluto, coloca al hombre en un plano naturalmente trascendente. La ética filosófica no puede por tanto hacer abstraccion de Dios en sus planteos, precisamente porque en el hombre concreto y real que debe actuar la conciencia de hacer o no la voluntad divina, de actuar o no como la inteligencia reconoce que debe hacerlo por ser voluntad de Dios –i.e. de acuerdo a lo reconocido como ley natural- se da de modo natural, sin necesidad de recurrir a la gracia sobrenatural. Si la naturaleza no estuviera ordenada esencialmente a Dios, la gracia debería suprimirla para unir al hombre con su creador o al menos no la perfeccionaría sino que la reemplazaría.

El tratamiento de la ley natural se centra sobre todo en la Summa contra gentiles, la cual se muestra en perfecta sintonía con la Summa Theologiae, a pesar de los comentarios de Abbà (cf. pp. 232-238; cf. también p. 181: “el concepto de providencia de la Contra Gentiles coincide con el de ley eterna de la Summa Theologiae”). Es central la noción de fin último para comprender el sentido de la ley natural en Santo Tomás. Además sin considerar que es la Providencia la que dirige todas las cosas a su fin último, aunque a cada una según su naturaleza, la ley se transforma en una imposición extrínseca, voluntarista, legalista o como se la quiera llamar. En cualquier caso, la voluntad legisladora sería extraña a la naturaleza que recibe la ley. Santo Tomás armoniza en cambio ambos elementos sosteniendo que la ley natural es precisamente expresión de la voluntad divina y que por eso mismo tiene una capacidad absoluta de obligar. Por otra parte ésa es la manera en que las creaturas son dirigidas a su propio fin, incluso en el caso de los seres que poseen libertad, de manera que la ley no es externa a ellos, sino por el contrario expresión de su misma naturaleza. Los seres racionales participan de una manera especial en la ley eterna (Providencia), ya que pueden distinguir entre verdadero y falso, bien y mal; ese modo especial de participar es precisamente la ley natural.

Quisiera concluir esta breve reseña destacando una vez más lo que probablemente sea la fuente principal del interés de este libro, orientado a superar la falsa antítesis naturalismo-voluntarismo. Se trata precisamente de la recuperación del pensamiento completo de Santo Tomás en torno a la ley natural, sin dejar de lado ningún aspecto. De ese modo el máximo exponente del iusnaturalismo proporciona un estímulo potentísimo a la filosofía del derecho contemporánea, tanto en los principios como en las aplicaciones concretas. Por otra parte, de la exposición se desprende la posición cardinal de la teología natural, el desinterés por la cual podría explicar también la falta de explicaciones satisfactorias en casi todas las disciplinas filosóficas.

Phronesis Editore said...

Gianfrancesco Zanetti, Filosofia Politica

II pensiero di Tommaso d’Aquino gioca un ruolo molto particolare nel dibattito contemporaneo. Non ci si occupa di Tommaso solo per interesse erudito, oppure per occuparsi di un affascinante capitolo della storia delle dottrine politiche, né esclusivamente per motivi religiosi (ma nella Fides et ratio Giovanni Paolo II ribadisce l’importanza della filosofia dell’Aquinate). Come notava di recente Anthony Kenny (Thomists for Today, TLS April 21, 2000, 10) c’è una renaissance di studi tomistici nelle università, e lo dimostrano fra l’altro i due importanti volumi ch’egli contestualmente recensisce, The Metaphysics of Creation di Norman Kretzmann e Aquinas di John Finnis.

Per chi si occupa di filosofia della politica, o del diritto, il testo di Finnis è particolarmente importante, e lo si comprende fin dal sottotitolo: Moral, political and legal theory. Del resto Finnis ha sempre riconosciuto il suo debito con la analytical jurisprudence di H.L.A. Hart, e le sue tesi – il suo giusnaturalismo neoclassico, con pesanti implicazioni di moralismo giuridico – sono note in Italia per merito di Francesco Viola. Ora il testo di Fulvio di Blasi, Dio e legge naturale. Una rilettura di Tommaso d’Aquino, si innerva in questa nuova fioritura di studi su Tommaso e, più specificamente, nell’interesse che la filosofia pratica – filosofia politica, morale, e in questo caso: giuridica – prova per un autore non facile da maneggiare, e scomodo in più di un senso.

È Di Blasi che ha tradotto Finnis in italiano; e come del resto avviene nei testi di Finnis, ad esempio nel tredicesimo capitolo di Legge naturale e diritti naturali, la serietà con la quale è vissuto il fatto religioso si percepisce distintamente, e fin dal titolo, anche in Dio e legge naturale. I “nuovi” studiosi di Tommaso sono spesso brillanti, niente affatto accigliati nello stile, senza per questo essere disposti al compromesso. Finnis, McInerny (il libro di McInerny su Tommaso e l’analogia e stato anch’esso tradotto da Di Blasi), Veatch, scrivono in modo chiarissimo (e non per niente si parla esplicitamente di “tomismo analitico” nell’Oxford Companion to Philosophy), fluido, spesso decisamente brillante: basti pensare all’introduzione di McInerny alla raccolta di scritti di Tommaso da lui curata per La Penguin Books nel 1998, e al gusto col quale ricorda la posizione filosofico-morale di Lord Russell sul libero amore. Questi studiosi difendono sovente tesi “forti”, impegnative. Di Blasi fa senz’altro parte di questa nuova generazione di studiosi del doctor angelicus, e si capisce sempre bene quello che vuol dire. La sua rilettura di Tommaso d’Aquino, poi, e per usare le parole di Mario A. Cattaneo, si compie insierne a “una rivalutazione del giusnaturalismo dall’angolatura metafisica nonché a una presa di posizione “contro certe linee interpretative volte a escludere la prospettiva religiosa dal giusnaturalismo, a delineare quasi una dottrina tomistica priva del riferimento a Dio (p. 13). Con bella franchezza il lettore viene avvertito fin dal principio che il riferimento a Dio non dipende dalla credenza religiosa: esso invece “risulta essenziale”, per Di Blasi, “alla stessa idea di un’etica filosofica della legge naturale” (p. 19). La prospettiva groziana dell’etiamsi daremus – insieme a tutte le sue varianti anche di ispirazione tomistica – sembra, in quest’ottica, insostenibile.

II giusnaturalismo tomistico, “razionalista” secondo un’interpretazione tradizionale (penso ad esempio a Guido Fassò), viene problematizzato: versus il “nuovo antinominalismo”, ad esempio dei neoclassici, che come tutti gli antinominalisti sottodimensionano la rilevanza della volontà di Dio, viene sottolineata la centralità proprio di tale volontà nella complessa costruzione tomistica. Il secondo capitolo di Dio e legge naturale è del resto tutto centrato su questa dimostrazione dell’uomo capax Dei, la bontà del quale risulta dipendere in modo esclusivo dalla possibilità di volere in accordo con la volontà divina. È all’interno di questa opzione teorico-interpretativa di base che Di Blasi offre una lucida ricostruzione dei concetti tomistici di lex e di lex naturalis. In particolare, la costitutiva eteronomia di tale legge sta nei due necessari soggetti – un’emittente, il legislatore, e un fruitore –, donde l’origine propria dell’obbligo. La legge naturale rimane, in fin dei conti, legge. Ed ecco il sillogismo interpretativo di Di Blasi: poiché l’uomo ha un’inclinazione naturale ad amare Dio prima e più di se stesso (da qui l’esperienza della coscienza morale come negazione di sé – del bene per me – per amore del bene – in sé–: il “bene per me” viene ritrovato attraverso l’apparente sacrifico di esso) e poiché l’uomo conosce metafisicamente la natura come essenzialmente – i.e., nel suo stesso essere – dipendente da Dio, cioè come “creata”, ergo l’uomo è moralmente portato a rispettare il complesso ordine della natura: con i suo fini, le sue gerarchie e le sue proporzioni. Particolarmente interessante è che (come emerge nel terzo capitolo) questo “ordine naturale” è un concetto complesso, che non si riduce solo, per intenderci, al famoso fine naturale di una cosa, o organo, e così via. L’ordine naturale, con le sue dinamiche (inclinazioni), manifesta all’uomo la volontà di Dio (la cui “rilevanza dipende appunto dalla inclinazione) e il rispetto per l’ordine naturale si può qualificare moralmente come “obbedienza per amore” alla volontà di Dio (lex naturalis). Il rispetto “morale” che “la natura” esige non può avere in se stessa il fondamento ultimo. Il bel libro di Di Blasi, mentre porta in Italia l’eco della rinascenza anglosassone degli studi tomistici, invita a una riflessione senza compromessi, e a suo modo spregiudicata, sul pensiero di un autore che non può più essere appiattito su alcuna manualistica vulgata, sia per il dibattito acceso che è in corso sulla sua opera, sia per le implicazioni normative che gli esiti di questa stessa rinascenza possono comportare. Anche chi non condivide, e anzi osteggi, tali esiti, finisce spesso per sentire il fascino della sintesi tomistica e del dibattito specialistico che continua a suscitare.

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Luciano Sesta, Filosofia e Teologia

Legge naturale, nel pensiero di Tommaso d’Aquino, significa, essenzialmente, il presentarsi della natura alla ragione umana come voluta da Dio. Senza l’ordine della natura come voluto e promulgato da Dio-legislatore, non avrebbe senso la stessa espressione legge naturale poiché non può esserci vera legge senza l’intervento della volontà di qualcuno che comanda. Se Ia legge naturale consistesse nei soli dettami della ragione non potrebbe avere realmente valore di legge in quanto si limiterebbe a descrivere/indicare senza poter prescrivere. Partendo da questa restituzione del significato originario al concetto di legge naturale nel pensiero di Tommaso, il saggio di Di Blasi si inserisce nell’attuale dibattito sulle nuove chances del giusnaturalismo all’interno di un contesto che, dopo Kelsen, è fortemente marcato dal positivismo giuridico. L’Autore sviluppa una paziente rilettura di Tommaso, in dialogo con i maggiori esponenti dell’area filosofica anglosassone come Finnis, Grisez, Boyle, Anscombe, MacIntyre, Kenny, Geach, McInerny, Haldane e con alcuni interpreti di Tommaso, da Maritain fino ai più recenti studi di Rhonheimer, Hervada, Luño e soprattutto Abbà. Gli autori citati, secondo Di Blasi, corrono «il rischio di portare, da un iniziale atteggiamento di sospetto verso il riferimento alla volontà di Dio, al progetto esplicito di un’etica senza Dio» (p. 82). Quella che può sembrare una legittima delimitazione di ambiti (la filosofia per l’etica, la teologia per Dio) finisce per tradire il cuore della dottrina di Tommaso, creando scompensi teorici tali da lasciare vacante il fondamento dell’etica. Nel primo capitolo del saggio, L’orientamento neoclassico rispetto alla teoria convenzionale della legge naturale, l’Autore rileva come, nella preoccupazione di cadere nella fallacia naturalistica e nel volontarismo legalistico teonomo, i «neoclassici» (Finnis, Grisez, Boyle) tradiscano il nucleo di fondo della dottrina tomista elaborando «un’etica oggettiva che non deriva in nessun modo i valori dalla conoscenza della natura umana» (p. 29) e teorizzando una separazione tra oggettività (raggiungibile mediante riflessione sui giudizi della ragion pratica) e natura (considerata in sé come fatto eticamente irrilevante). Per Di Blasi si tratta invece di riaffermare, con Tommaso, «la possibilità della ragione umana di conoscere l’ordine oggettivo dei fini naturali e il fine ultimo dell’uomo in termini normativi» (p. 50). Ma questo non potrebbe mai avvenire, realmente, se non riconoscendo la rilevanza etica della volontà di Dio. Anche se vi fosse un ordine morale oggettivo, ciò non basterebbe a motivare l’adesione della volontà umana. L’etica sarebbe sí universale e oggettiva in senso teorico ma non assoluta in senso pratico. Tra il volontarismo dei nominalisti e il razionalismo degli antinominalisti (il cui contrasto Di Blasi affronta in riferimento a Suarez e alla ripresa critica della scuola «neoclassica») trova spazio la prospettiva di Tommaso, la quale supera l’opposizione tra autonomia ed eteronomia nell’atto stesso in cui esse vengono assunte e ricostituite nella pregnanza originaria del loro significato. L’amore verso Dio precede e definisce qualsiasi dovere morale. Se ciò che si presenta obbligatorio alla ragion pratica non è prima stimato come buono in se stesso, non ci sarebbe modo di percepire l’obbligo in quanto tale. Dunque ciò che la legge comanda, «poggia su una previa percezione di Dio stesso come il bene autentico e ultimo dell’uomo» (p. 89). Per questa via (sviluppata nel secondo capitolo, Il presupposto della «lex naturalis»: l’uomo «capax Dei») l’Autore ritiene, «per quanto ciò sia delicato sul piano filosofico» (p. 50), che l’ordine della natura debba essere riconosciuto come voluto da Dio. Quest’ultima affermazione richiama una dimensione che la filosofia guarda già con sospetto, giudicandola troppo teologica. Con efficacia l’Autore la fa emergere, quasi in sovrimpressione, da una semplice fenomenologia dell’esperienza morale comune. Diversi aspetti dell’esperienza morale infatti, come la ricerca della felicità, il desiderio di eternità, di verità, di giustizia, di importanza e non da ultimo l’esperienza del dovere, «pur non essendo in sé dimostrativi dell’esistenza di Dio, rivelano chiaramente che ‘ciò che gli uomini chiamano Dio’ è la risposta più profonda alle istanze dell’uomo» (p. 152). II vincolo che sussiste tra volontà di Dio e natura, viene comunque esplicitato attraverso una rielaborazione delle cinque vie, e cioè dell’idea di una «conoscenza naturale di Dio». La conclusione, audace ma coerente nello sviluppo argomentativo del discorso, è che in ogni atto umano, sia cognitivo che volitivo, non solo si trova implicita una tensione verso Dio, ma, in certo modo, si trova Dio stesso. Se Dio è presente nelle creature come una causa è presente nei propri effetti, allora «qualunque cosa l’uomo conosce, e nella misura in cui la conosce, conosce anche Dio» (p. 102). Questo significa che la volontà di Dio si manifesta nelle ragioni delle cose, eludendo così ogni ricaduta nel volontarismo. Viene infine trattato (nel terzo capitolo, «Lex» e «lex naturalis») l’intreccio tra legge naturale e legge divina ed eterna, dove la seconda si presenta complementare e integrativa rispetto alla prima, nella misura in cui ne sostiene e supera la fragile e incerta realizzazione. La legge diviene custodia della libertà perché la protegge contro i condizionamenti e gli ostacoli che volessero distoglierla dal fine cui essa stessa tende. L’esperienza del sacrificio di fronte al proprio dovere ne sarebbe conferma mostrando che «chi compie questo sacrificio, anche se forse non se ne rende ben conto, sta amando in qualche misura la volontà di Dio prima e più della propria» (p. 239-40). Insomma, al di là della lettura «trascendentale» dei neoclassici e di quella metodologicamente «atea» di alcuni interpreti contemporanei, Di Blasi afferma, con Tommaso, che se l’etica può essere indipendente dal problema di Dio non può esserlo però dalla sua realtà.

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Maurizio Schoepflin, "Sensus Communis"

Ralph McInerny, L’analogia in Tommaso d’Aquino, a cura di S. L. Brock, trad. it. Di F. Di Blasi, Armando Editore, Roma 1999, pp. 190, £. 27.000; Fulvio Di Blasi, Dio e la legge naturale. Una rilettura di Tommaso d’Aquino, Edizioni ETS, Pisa 1999, pp. 270, £. 35.000.

Nel volume Tommaso d’Aquino. Il futuro del pensiero cristiano, un’opera pubblicata alla fine del 1997 che costituisce ormai un sicuro punto di riferimento degli studi tomistici, Antonio Livi si dimostra convinto che Tommaso, «scartato dalla teologia del Novecento, sarà la guida del pensiero cristiano dopo il Duemila». Se questa valutazione si dimostrerà vera, saranno i prossimi anni a confermarlo: al momento una cosa comunque è certa, ovvero che si assiste, da più parti, a una forte ripresa di attenzione e di interesse per il grande messaggio dell’Aquinate, come è testimoniato dalla recente pubblicazione di numerosi importanti studi su di esso. A questo proposito, non si può certo tacere intorno alla fondamentale rilevanza di quanto il Santo Padre Giovanni Paolo II in perfetta sintonia con l’insegnamento dei suoi predecessori, ha scritto nella Lettera Enciclica Fides et Ratio del settembre del 1998, laddove egli non ha esitato a fare riferimento alla «novità perenne del pensiero di San Tommaso d’Aquino».

Nuove pubblicazioni dunque - si diceva - su san Tommaso: tra queste vanno a collocarsi con indubbia significativa autorevolezza i due libri che sono oggetto di questa segnalazione, i quali, per un’interessante coincidenza, sono collegati dal fatto che l’autore di uno di essi, Fulvio Di Blasi, studioso di filosofia del diritto e già autore di un lavoro su La conoscenza naturale di Dio in Tommaso d’Aquino è il traduttore dell’altro, che è opera di un affermato specialista del pensiero tomista, il professor Ralph McInerny della statunitense Università di Notre Dame. Inoltre, bisogna subito dire che ambedue questi libri vanno al cuore del tomismo, in virtù del fatto che le due grandi questioni che in essi vengono discusse - quella dell’analogia e quella della legge naturale - costituiscono due ottime chiavi per entrare all’interno dell’intero edificio speculativo di san Tommaso e per offrirne una rilettura complessiva.

L’analogia innanzitutto: basta possedere soltanto un’infarinatura di filosofia per sapere che la nozione di analogia occupa un posto nevralgico all’interno del discorso dell’Aquinate; ma è proprio a questo punto che, secondo McInerny, cominciano i problemi, perché e in agguato il rischio di fare riferimento a un concetto di analogia che di autenticamente tomista non ha proprio nulla, poiché, secondo quanto sostiene lo studioso americano, in realtà da secoli non viene correttamente tramandata la dottrina tomista dell’analogia, ma ciò che di essa è contenuto in un opuscolo giovanile di Tommaso de Vio, il celebre cardinal Caietano, maestro generale dell’ordine domenicano e principe degli interpreti di san Tommaso, il quale - sempre secondo McInerny - al riguardo prese un clamoroso abbaglio, fraintendendo Tommaso e tradendo le sue più genuine intenzioni. Si tratta dunque di fare, per quanto possibile, chiarezza, e di rimettere le cose al loro posto, tenendo conto di una nuova prospettiva che McInerny sintetizza nei termini seguenti: «Nella tradizione tomista il significato dell’Analogia dell’Essere è quello della cascata di creature procedenti da Dio, che formano una vasta gerarchia ontologica culminante, alla fine, nell’ultima delle cose. Tommaso non ha mai usato la parola analogia per parlare di questa gerarchia della realtà; l’ha usata invece per parlare della gerarchia dei significati di un termine, dove il primo tra i significati solo raramente è anche il primo nella scala ontologica. L’Analogia dell’Essere è un elemento fisso della tradizione tomista e cercare di ometterla sarebbe donchisciottesco. Il rischio è però di confondere l’Analogia dell’Essere con l’analogia dell’“essere”. In seguito, il neoplatonico nascosto in tutti noi comincia a dire che in qualche modo ciò che è ontologicamente primo è primo anche nella nostra conoscenza. Per Tommaso quell’identificazione era il peccato capitale del Platonismo, da non perdonare mai. Sarebbe certamente il colmo dell’ironia se a Tommaso venisse attribuita un’identificazione che egli stesso ha seccamente e ripetutamente rifiutato» (p. 12). Non si fa fatica a notare che la ricerca di McInerny va ben oltre questioni esclusivamente terminologiche e si allarga fino a comprendere temi e problemi di altissimo spessore metafisico-gnoseologico che ineriscono al nucleo profondo del tomismo.

Questa stessa caratteristica, come si è accennato, presenta il lavoro di Fulvio Di Blasi, il quale, facendo perno sul tema della legge naturale, intende operare Una rilettura di Tommaso d’Aquino (questo appunto il sottotitolo del suo libro) e proporre, nel contempo, “una rivalutazione del giusnaturalismo dall’angolatura metafisica, mettendo in discussione il dogma analitico della grande separazione tra “essere” e “dover essere” e prendendo decisa posizione contro certe linee interpretative volte a escludere la prospettiva religiosa dal giusnaturalismo e a delineare quasi una dottrina tomistica priva del riferimento a Dio”. Su questa linea, in perfetta consonanza con quanto ripetutamente espresso dal Magistero ecclesiale, Di Blasi scopre e sottolinea con forza la vitalità della riflessione di san Tommaso anche per ciò che concerne le questioni filosofico-giuridiche; seguendo l’Aquinate, è possibile allontanare il pericolo di quell’approdo nichilistico che sembra oggi minacciare pure la filosofia del diritto: «Sotto questo profilo - scrive Mario A. Cattaneo nella Presentazione del libro -, un aspetto degno di nota è la relazione instaurata tra il concetto di lex naturalis e le prove dell’esistenza di Dio. Di Blasi sottolinea, attraverso la tradizione scolastica, la centralità di Dio come problema morale dell’uomo» (p. 13).

I lavori di McInerny e di Di Blasi vanno nella direzione di una rivalutazione piena e convinta della filosofia di san Tommaso e la additano come una chance decisiva per il pensiero cristiano di domani, memori della lezione del Papa Paolo VI che, in occasione del settecentesimo anniversario della morte del Dottore Angelico, ebbe a scrivere: «Senza dubbio, Tommaso possedette al massimo grado il coraggio della verità, la libertà di spirito nell’affrontare i nuovi problemi, l’onestà intellettuale di chi non ammette la contaminazione del cristianesimo con la filosofia profana, ma nemmeno il rifiuto aprioristico di questa. Perciò, egli passò alla storia del pensiero cristiano come un pioniere sul nuovo cammino della filosofia e della cultura universale» (Lettera apostolica Lumen Ecclesiae, 8).

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Recensione di Giuseppe Mazzocato, in "Orientamenti bibliografici, 28/2006 (a cura della Facoltà Teologica dell'Italia settentrionale)

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Review in the Journal of Interdisciplinary Studies XX 2008

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See references by Oskar Gruenwald in "THE TELEOLOGICAL IMPERATIVE"

http://www.jis3.org/samplearticle.htm

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Review by S.-Th. Bonino, in "Revue Thomiste" Avril-Juin 2007, pp. 275-278

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Citato in "The Internet Encyclopedia of Philosophy" nella voce "Thomas Aquinas: POlitical Philosophy"

http://www.iep.utm.edu/a/aqui-pol.htm

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Citato in

http://www.homolaicus.com/

nella voce su Tommaso d'Aquino

http://www.homolaicus.com/teorici/aquino/tommaso_aquino.htm

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"[11] He tenido a la vista el capítulo II, p.89 ss del interesante libro de Fulvio Di BLASI, Dio e la legge naturale. Una rilettura di Tommaso d"Aquino, Edzionit Ets, Pisa, 1999."

Da "Eudaimonía e historicidad", di Javier Aranguren Echevarría

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Journal of Interdisciplinary Studies, 2008

by Bradford McCall

BOOK REVIEWS 191 God and the Natural Law: A Rereading of Thomas Aquinas. By Fulvio Di Blasi. Tr. David Thunder. South Bend, IN: St. Augustine's Press, 2006. Cloth. 264p.

Fulvio Di Blasi graduated Summa cum Laude in Law from the University of Milan in 1994, and received a Ph.D. in Philosophy of Law from the University of Palermo in 1998. Since 2000, he is an occasional visiting research associate at the University of Notre Dame. In God and the Natural Law, Di Blasi critically interacts with the arguments of "the new natural law" theorists and belies their theoretical details. Di Blasi covers the main arguments of contemporary ethicists that have tried to preserve the credibility of their philosophies in constructing a natural law theory. In order to have credibility in the post-Kantian and analytical world, contemporary natural-law theorists have attempted to gain independence both from the will of God and human nature. However, in liberating the natural law from both God and human nature, two conundrums arise: (1) Can there be a natural- law theory without the "natural" component; and (2) Can there be a natural-law theory without "law" given by a Legislator? After all, natural law (lex naturalis) is an ethical theory that posits the existence of a law of nature whose content is everywhere valid. Natural law can be used synonymously with natural justice or natural right {ius naturale), though most contemporary theorists separate the two. Di Blasi offers an original analysis of the current debate in ethics and politics in the early chapters in order to provide the background for an adequate under- standing of the concept of natural law. These two movements build the foundation for the key contribution of the book: the recovery of the meaning of both the will of God and the order of nature-the main concepts of natural law theory posited by Thomas Aquinas. Aquinas insisted that natural law has an independent derivation, asserting that human reason could approach but not fully comprehend the eternal law, and thus needs to be supplemented by divine law…
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